Il panino siderurgico di Giuseppe Manni

Il panino siderurgico di Giuseppe Manni

La scomparsa improvvisa di un amico ci interroga sulla fecondità del rapporto che ci ha legati, in cosa ci ha umanamente arricchiti, cosa ci manca già oggi, a causa di questa perdita. Ci rendiamo improvvisamente conto che non siamo solo quell’insieme di impegni quotidiani e banalità di incontri superficiali; ci rendiamo conto di aver ricevuto qualcosa per la quale vale la pena vivere. Ci rendiamo conto che la singolare particolarità di una persona sta nella sua capacità di riconoscere nell’altro, nell’amico, un valore autonomo rispetto a noi stessi, valore di cui prenderci cura e così prenderci cura del mondo che ci sta intorno. Giuseppe Manni era questo e non solo l’imprenditore di grande successo, che dimostrava come le aziende di famiglia italiane sappiano raggiungere grandi risultati, oltrepassando agevolmente il confine della terza generazione, con una crescita ragionata e sostenibile.

La dimensione del gruppo è la dimensione di una famiglia allargata al figlio Francesco, ai Manni, a tutti i dipendenti, dimostrando che le teorie sul capitalismo temperato possono trovare applicazione, nel rispetto non solo dell’ambiente, ma di tutti coloro che entrano in contatto con l’impresa. Una formula che trova altri ed importanti esempi nell’imprenditoria veronese. Dai bambini etiopi alle ricerche sul cervello umano e sulla telemedicina, dagli Amici del Museo di Castelvecchio al CdA della Fondazione Arena, Giuseppe portava visione, intelligenza, impegno e sostegno. Un esempio: il progetto di rivoluzione di quello che continuava ad essere l’Ente lirico, nonostante la privatizzazione in Fondazione. Il progetto prevedeva l’intervento privato di mecenati, imprenditori, musicofili e sicuramente aveva senso, se è vero che Athesis raccoglie oggi fondi da decine di sostenitori della lirica e dell’Anfiteatro più famoso del mondo. I progetti nascevano nell’incontro in sala riunioni del suo ufficio, durante la sosta del pranzo, sostituito dal «panino siderurgico», preparato dalla fedele e premurosa Barbara.

Le attività per dare concretezza ai progetti lo vedevano impegnato al confronto esterno, allo stimolo a realizzare le idee, da cittadino consapevole della forza dell’esempio e del pensiero che si trasforma nel fare. Simile ai veronesi che hanno fatto grande la Verona del dopoguerra, possedeva la visionarietà di Giambattista Rossi, la capacità di ascolto di Renato Gozzi, la forza maieutica di Dario Donella, l’amore per la città di tutti quelli che ci tornano alla mente. Con una differenza sostanziale: Giuseppe Manni ha vissuto negli ultimi decenni in un mondo diverso, un mondo che sembra ormai privo di senso, senza orientamento etico, un mondo confuso che ha perso la conoscenza e l’esperienza della comunità, dell’altro da noi come un valore da conoscere, rispettare e amare.

Per questo Giuseppe si prendeva cura degli altri e del mondo a Verona come in Etiopia, consapevole che solo con questo tipo di impegno si può trasformare una vita in qualcosa che vale la pena di vivere, sino all’ultimo giorno, di modo che altri possano continuare il cammino.


Lamberto Lambertini

Da: L'Arena, pg. 53, 30 gennaio 2023